CARLO DI GIFICO
Docente genovese di storia e filosofia, autore sensibilissimo di poesie dal forte contenuto individuale, ha partecipato con successo di critica a concorsi letterari internazionali. E’ presente su pregiate opere antologiche.
L'infanzia mia e la guerra
Tempo di coprifuoco, di rifugi,
di bombe sulle case.
L'infanzia respirava la paura,
mista a curiosità.
All'inizio la guerra era lontana.
Ne davano notizia i bollettini,
trasmessi dalla radio
e le lettere inviate dal fronte,
quasi sempre rassicuranti.
Eppure, in quell'aria piena d'ansia,
il cinema, i teatri funzionavano.
Le pellicole, ricche d' evasione,
non erano che fuga dagli eventi,
in acerbo stridore.
Soltanto le macerie per la strada
e le notizie dei nostri caduti,
comunicate dai carabinieri,
accesero l'angoscia.
Ora, con me, il passato
riemerge da quelle macerie
ed io, col fiato mozzo,
spalanco gli occhi della mente
ed il buio, che m'inflisse la guerra,
ridà luce al mio cuore.
Rivedo i volti amati inalterati
e la mia mano in quella di mio padre,
legate con un filo indistruttibile,
nonostante la lama affilatissima,
che sfoderò la guerra,
per recidere il cielo dalla terra.
Alle note laceranti degli ottoni,
distratto applaudiva il loggione,
quasi a ignorare il dramma,
che si svolgeva nell'umido autunno,
in una delle tante sere,
tra le foglie caduche
e l'ansimare degli ippocastani.
Mi pare di rivivere in immagine
il serpeggiare dei tristi tranvai
ed il brivido gelido
d' una animata e silenziosa,
grigia periferia.
Gli scarponi chiodati del tedesco
non colpivano il marciapiede,
come durante la sfilata.
Ogni passante, in quella strada oscura,
s'incamminava verso il suo destino,
che agli altri non svelava,
forse per troppa fretta.
Anche per quella sera,
una minestra di cavolo nero
avrebbe premiato le attese.
Il mondo è dove siamo
noi, esili disegni nell'aria.
Dio riempie le immagini di un sogno;
il mistero ci nutre
e noi non lo sappiamo.
Ha le pupille colme di presenze,
che ora sono e poi non sono più.