Il gelo e il tepore

 

Fuori il candido manto di neve

-tanta già ne era scesa-

e il gelo

che appannava i vetri

di quel nido nascosto

dove era tepore ogni pensiero,

ogni gesto,

ogni bacio posato senza fretta.

 

La sera

era di silenzio ovattato:

non distraeva alcun rumore.

Noi

vivevamo di noi,

della nostra essenza soltanto,

dei fremiti che ci regalavamo

e ci rubavamo.

 

Era lì il mondo:

nel respiro che respiravamo,

nei sensi che poco a poco

sospendevano il tempo.

Nel tenerci a lungo abbracciati

ora delicati, ora persi.

 

Nel sorriso che ci nasceva

per avere inventato l’amore.

 

(Fabiano Braccini)

 

 

 

Sentiero di lucciole e luna

 

Di fiori chiusi nei prati

è questa notte,

di grilli il canto, orme di lepri.

Le stelle lontane e un’algida virgola di luna

nel silenzio mi orienteranno.

Sarò da te prima che nasca il sole,

con l’erba ai piedi fresca della brina.

 

Nel mistero del buio ti cercherò paziente

(fiammelle di lucciole, sguardi di gufo).

Non troverò impronte o rumori

ma labili scie di odori:

la tua pelle soltanto mi sarà di guida.

Seguirò il fluire armonioso dei capelli

e il tuo respiro nell’ansia della corsa.

 

Il profilo dei fianchi e il petto pieno

scostano appena steli, rami e fronde

ma segnano precisa la traccia di un sentiero.

Forse ti fermerai tra poco,

rapita nel riposo.

Desiderio, attesa, pausa del tempo:

 il tuo muover di ciglia lieve suono.

 

Quando l’alba svelerà adagio

il suo chiarore

resterò con te negli occhi e nelle labbra:

anelito di vita, nostalgia struggente,

amore mai raggiunto e che mi sfugge ancora.

Seducente magia, attimo che vola.

Un’emozione, un soffio, … un niente!

 

(Fabiano Braccini)

  

 

 

Una sera di tante sere

(inverno: un bar di periferia)

 

Mano sul bicchiere già vuoto,

sguardo perso

verso chissà quali visioni lontane,

stanchi pensieri aggrappati

come edera al muro

a vane illusioni mai divenute realtà.

 

La porta del bar

si apre e si chiude al freddo di fuori

ripetutamente:

è gente che cerca calore in un caffé

e in qualche rara parola.

Poi mesta se ne rivà, senza un saluto.

 

Un’altra giornata è ormai trascorsa:

gli alberi nella bruma del viale

hanno lasciato cadere foglie e vita.

Lunga infinita sembrerà la notte

priva di sogni

e senza una scintilla che l’accenderà.

(Fabiano Braccini)

  

 

Di notte le parole

 

Un mormorare pacato

-senza fretta-

che lascia al pensiero,

alle labbra, al respiro

il tempo e il modo di misurare

pause, accenti, intensità.

 

Nel raccolto silenzio del buio

tutto si percepisce:

pure un bisbiglio

o un minimo segno di stupore.

Anche

il muovere lieve delle ciglia,

l’accenno di un sorriso innocente,

il tremore di un’ansia.

 

Sono più vere le parole della notte,

non hanno il timore

di rivelare un po’ di noi:

passeggeri smarrimenti,

attese deluse, turbamenti segreti.

Emozioni

che il pudore del giorno

induce a serbare nascoste.

 

Traspare sovente 

una sommessa richiesta d’amore

e il desiderio non detto di un bacio,

tra le parole sussurrate

-o taciute-

nella complice intimità della notte.

 

(Fabiano Braccini)

 

 

 

Senza nubi il cielo

(Sardegna di settembre)

 

Di là si vede il mare

tra i cespugli di mirto in fiore.

 

Terra riarsa,

rocce lisce o scavate

che sembrano qualcosa

e file ordinate

di formiche cariche di semi

chissà dove rubati.

 

Senza nubi il cielo

al volo teso dei gabbiani.

 

Non un rumore

se non del frinire di cicale,

del fluttuare ritmato delle onde

delle folate del vento

che a sera si placa finalmente.

E tornano i profumi a inebriare.

 

Mentre profili di barche

sfilano lentamente all’orizzonte.

 

(Fabiano Braccini)

 

 

 

Ritratto di signora

 

Dipingimi con tratto elegante

-tu che sai-

occhi intensi che mirano lontano

e un sorriso morbido,

soffuso lievemente di malìa.

 

Pittura nell’ovale del mio viso

-senza troppo marcare-              

labbra che si atteggiano al bacio

e un filo appena di seduzione 

che sia garbata, non volgare.

 

Disegnami un corpo armonioso

-come di sirena-

snello ma non proprio magro,

che sinuoso si adagia 

a modellare la veste leggera.

 

Se vuoi, ritrai giù sullo sfondo

-con la tua maestria-

l’atmosfera più suggestiva

di una limpida sera di primavera

coi riflessi rosa del tramonto.

 

Alla mia mano, poi,

dai la posa di un saluto.

Che non sembri però un addio,

perché io vorrei lasciare

-a chi domani sosterà a guardare-

la migliore immagine di me:

una delicata impressione

del mio amore di vivere la vita

e la sensazione

di una interiore, pacata serenità.

 

(Fabiano Braccini)

Indietro